"Non esistono fatti, ma solo loro interpretazioni" - Friedrich Nietzsche

IO SONO NESSUNO
Il perché dell’importanza della registrazione anagrafica.
Di Eugenia Ibba
Io sono nessuno. Una citazione tratta dal famoso frammento del poema omerico “Odissea” e che è ormai ampiamente entrata nell’immaginario collettivo quale simbolo della superiorità dell’intelletto umano rispetto alla bruta e cieca forza primordiale.
Una frase che, all’interno della nostra società, ha ispirato riflessioni di ogni tipo, psicologiche, sociologiche, filosofiche.
Eppure, forse troppo impegnati a teorizzare nuovi orizzonti concettuali, in molti abbiamo perso di vista della stessa il suo significato più immediato e cioè considerare che nel mondo vivono milioni di persone che “sono nessuno”.
Se per una parte del mondo è scontato e imprescindibile che ciascuno sia un soggetto con una propria identità, in altre realtà - quelle che sovente sono definite “Sud del mondo” - questa certezza tende a sfumare.
Ciò che per alcuni rappresenta la base fondante del vivere insieme civile - avere, fin dalla nascita, una identità che ci palesi al resto della società quali individui aventi pieni diritti e, ancora prima, persone – tale diritto fondamentale è un’opzione accessoria per tanti altri, se si considera che sono circa un miliardo le persone letteralmente sprovviste di un’identità ufficialmente riconosciuta e comprovata.
In un’epoca in cui si ritiene fondamentale “dare un nome” a tutto, a un miliardo di persone è negato tale diritto. E se ciò può risultare empaticamente doloroso da un punto di vista meramente emotivo, di là di questo, l’assenza di una identità rappresenta in concreto un limite alla stessa esistenza di tanti.
Il loro essere nessuno indica esclusione e vulnerabilità, lavorare senza diritti, essere estromessi da ogni tipo di welfare statale. Rappresenta l’impossibilità di accedere a fonti di finanziamento; significa non avere un passaporto, alimentando il numero di disperati che, per poter espatriare in cerca di una
possibilità di riscatto, quando non di una vera e propria salvezza, sono costretti a rivolgersi a scafisti criminali senza scrupoli.
Determina, in conclusione, che, se noi che qualcuno siamo - nonostante tutte le speculazioni intellettuali, con le quali ci piace definirci civili - lasciamo che ciò continui ad accadere, finiremo con l’assomigliare di più al Ciclope Polifemo, mostro bestiale e tardo, anziché all’astuto e fiero Ulisse.